Mobbing: alcune linee guida

Scritto da Lidia Martinelli
il Settembre 23, 2021
Nella categoria: stress

Definizione

Con la parola mobbing si intende definire una forma di terrore psicologico sul posto di lavoro, esercitata attraverso comportamenti aggressivi e vessatori ripetuti, da parte di colleghi o superiori. La vittima di queste persecuzioni viene emarginata, calunniata, criticata, viene spostata da un ufficio all’altro e spesso le vengono affidati compiti dequalificanti. Lo scopo di tali comportamenti è sempre distruttivo e mira ad eliminare una persona divenuta in qualche modo ‘scomoda’, inducendola alle dimissioni volontarie o provocandone un motivato licenziamento. Il soggetto mobbizzato viene letteralmente accerchiato e aggredito intenzionalmente dai mobbers che mettono in atto strategie comportamentali volte alla sua distruzione psicologica, sociale e professionale.
Si tratta di una comunicazione ostile e non etica diretta in maniera sistematica da parte di uno o più individui generalmente contro un singolo, che è progressivamente spinto in una posizione in cui è privo di appoggio e di difesa e lì relegato per mezzo di ripetute e protratte attività.
Attualmente il fenomeno viene definito come una forma di pressione psicologica sul posto di lavoro, esercitata attraverso comportamenti aggressivi e vessatori ripetuti, da parte dei colleghi o superiori, attuati in modo ripetitivo e protratti nel tempo per un periodo di almeno sei mesi. In seguito a questi attacchi la vittima progressivamente precipita verso una condizione di estremo disagio che cronicizzandosi si ripercuote negativamente sul suo equilibrio psico-fisico.

Mobbing vs Straining

Un fenomeno simile ma distinto dal mobbing è lo straining. Il termine significa ‘mettere sotto pressione’. Gli aggressori, o strainers, possono essere esclusivamente il datore di lavoro e i superiori gerarchici. Le azioni tipiche dello straining sono spesso le stesse del mobbing, prive però di forte contenuto vessatorio o persecutorio ma piuttosto orientate a determinare discriminazione creando situazioni di stress forzato nel posto di lavoro. Si tratta soprattutto di:

  • isolamento sistematico;
  • cambiamento di mansioni, con il ricorso, in particolare, all’assegnazione a mansioni “prive di contenuto” o “irrilevanti”;
  • de-mansionamento;
  • al confinamento in postazioni lavorative isolate;
  • sottrazione degli strumenti di lavoro.
    Consiste sempre in una sola azione, ma con efficacia ed effetti perduranti. Lo straining è sanzionato da norme che consentono una difesa più puntuale degli specifici diritti lesi dei lavoratori ed è regolato dagli stessi strumenti normativi applicabili anche al mobbing.

I sette parametri

Il mobbing non sempre è facile riconoscerlo. Spesso, infatti, lo si confonde con qualsiasi tipo di vicenda conflittuale all’interno del posto di lavoro, mentre rappresenta un fenomeno di portata molto più ampia, caratterizzato da un disegno unitario e persecutorio, dunque connotato da una massima gravità tanto da arrivare a scomodare, in determinati casi, il codice penale.
Ecco perché, per agevolare il compito di chi si sente mobbizzato, sono stati individuati sette parametri tassativi cui far riferimento e a cui anche la giurisprudenza spesso si richiama per verificare se, nella vicenda concreta, ricorra o meno tale illecito.
Si elencano qui di seguito con una precisazione: perché scatti il mobbing devono essere presenti tutti i seguenti requisiti (non basta, quindi, uno solo di essi).

  1. AMBIENTE LAVORATIVO. È necessario che la vicenda conflittuale tra dipendente e superiore gerarchico sia consumi sul posto di lavoro e non altrove, a prescindere dal fatto, poi, che gli effetti di tale comportamento vessatorio si ripercuotano sulla quotidianità del dipendente e, in particolare, sulla sua vita privata e familiare.
  2. DURATA. Le vessazioni devono svolgersi da almeno sei mesi. Solo nel caso del cosiddetto “quick mobbing” (ossia di attacchi particolarmente frequenti ed intensi) il termine viene ridotto a tre mesi.
  3. FREQUENZA. Le azioni ostili devono essere poste in essere almeno con una cadenza periodica di alcune volte al mese. Non rilevano quindi le condotte sporadiche.
  4. TIPO DI AZIONI. Il mobbing deve concretizzarsi in condotte illecite reiterate e si presenta come una forma di terrore psicologico che viene esercitato sul posto di lavoro attraverso attacchi ripetuti da parte di colleghi (cosiddetto mobbing orizzontale) o dei datori di lavoro (mobbing verticale). Le azioni subite devono appartenere ad almeno due di cinque specifiche categorie:
     attacchi ai contatti umani e alla possibilità di comunicare;
     isolamento sistematico;
     cambiamenti nelle mansioni lavorative;
     attacchi alla reputazione;
     violenze e/o minacce di violenza.
  5. DISLIVELLO TRA GLI ANTAGONISTI. La vittima deve essere di una posizione di inferiorità. L’inferiorità non si riferisce necessariamente alla posizione gerarchica nell’organigramma dell’interno dell’azienda. Il dislivello di potere implica il fatto che la vittima sia confinata nella posizione più debole, resa incapace di difendersi dalle strategie di attacco usate dell’aggressore.
  6. ANDAMENTO SECONDO FASI SUCCESSIVE. È necessario che la vicenda abbia raggiunto almeno la fase in cui il conflitto si è incanalato nella direzione di una determinata vittima o gruppo di vittime, che cominciano a percepire l’inasprimento delle relazioni interpersonali e un crescente disagio psicologico.
  7. INTENTO PERSECUTORIO. Nella vicenda deve essere riscontrabile un disegno vessatorio coerente e finalizzato, chiaramente ostile e negativo. Ecco alcuni esempi: allontanare la vittima dal posto di lavoro, metterlo in cattiva luce, bloccargli la carriera, isolarlo, metterlo in ridicolo, punirlo per qualcosa di cui lo ritiene responsabile. Dunque, le forme che il mobbing può assumere sono molteplici: dalla semplice emarginazione all’assegnazione di compiti dequalificanti, dalle continue critiche alla sistematica persecuzione, sino al vero e proprio sabotaggio del lavoro altrui o alla realizzazione di condotte integranti reato. L’obiettivo è univoco, ossia eliminare una persona che è, o è divenuta, in qualche modo scomoda, sfinendola psicologicamente e sminuendone il ruolo sociale in modo da provocarne il licenziamento o da indurla alle dimissioni. Il mobbing quindi, inteso come comunicazione conflittuale sul posto di lavoro, non presenta un’azione tipica perché può essere realizzato mediante qualunque condotta impropria che si manifesti attraverso comportamenti, parole, atti, gesti, scritti capaci di arrecare offesa alla personalità, alla dignità o all’integrità fisica o psichica di una persona, di metterne in pericolo l’impiego o di degradare il clima lavorativo.

Come reagire o difendersi dal Mobbing

Ogni situazione di mobbing è unica nel suo genere, pertanto non è possibile dare delle indicazioni precise come se avessimo una bacchetta magica. Per questo esistono delle norme generali di comportamento, adatte a qualsiasi persona, ma che vanno necessariamente affiancate ad altre forme di intervento risolutivo. Infatti è bene ricordare che per uscire dal mobbing è fondamentale l’aiuto esterno di un esperto che aiuti ed analizzi non solo la vittima ma soprattutto l’ambiente di lavoro in cui il mobbing si è sviluppato.

1. Intervento sull’azienda.

Poiché l’azione su un caso di mobbing in pieno svolgimento può risultare abbastanza ardua, è consigliabile attuare una valida opera di prevenzione che sia indirizzata da un lato all’azienda e dall’altro ai singoli individui, con l’obiettivo di impedire che un banale conflitto irrisolto possa diventare un vero caso di mobbing. Nel caso dell’intervento mirato all’azienda, si dovrebbe attuare una formazione mirata che corregga ed indirizzi adeguatamente il lavoro dell’Ufficio Risorse Umane, oltre che creare la cosiddetta cultura del litigio. Ciò vuol dire intervenire sulla politica e sull’atteggiamento direttivo per migliorare la gestione delle situazioni critiche. La cultura del litigio è un programma formativo rivolto alle aziende che deve partire dall’alto ed essere diretto dall’ufficio risorse umane o dai vertici dirigenziali. L’obiettivo della cultura del litigio è rendere trasparente e chiaro il conflitto in modo da poterlo riconoscere e averne una visione obiettiva ed imparziale. Questa strategia va a beneficio non solo dell’azienda ma anche dei singoli lavoratori.

2. Intervento sul singolo.

Altro modo di reagire al mobbing è lavorare sulla propria capacità di autodifesa verbale. L’autodifesa verbale insegna le regole e le strategie fondamentali per difendersi dagli attacchi verbali (insulti, offese, risposte brusche, battute e scherzi di dubbio gusto, rimproveri e critiche infondate), bloccandoli e annullandoli. È indirizzata a tutti, uomini o donne, mobbizzati e non, per difendersi (e non per aggredire) dal conflitto in generale e dal mobbing in particolare. Spesso il conflitto nasce dalla nostra incapacità di rispondere adeguatamente e di tamponare subito il colpo, oppure da una nostra reazione esagerata o inappropriata al contesto. E dal conflitto non risolto al mobbing il passo è molto breve. In una situazione di mobbing, gli attacchi del/della mobber fanno male perché colgono impreparata la vittima, la quale non riesce a contrattaccare adeguatamente. È fondamentale quindi non rimanere mai più senza parole, mai più senza risposte adeguate. In questo modo si può stroncare il conflitto subito, prima che si espanda e diventi mobbing, oppure limitare i danni di una situazione di mobbing già in atto. La vittima, acquisendo la capacità di rispondere adeguatamente in qualsiasi circostanza, si sente più sicura di sé stessa e nei rapporti interpersonali, ispirando rispetto e considerazione. In tal modo riesce a salvaguardare la sua dignità ed evita che gli attacchi costituiscano delle premesse per disturbi psicosomatici (l’aumento dell’autostima e della fiducia in sé stessi risulta un ottimo immunizzante).
Altre regole generali sono:

  • DE-EMOZIONARE IL CONFLITTO, in modo da affrontarlo con lucidità e sangue freddo. La reazione immediata è quella più emotiva ed istintiva, magari la più sbagliata, poiché si rischia di fare il gioco dell’aggressore. Se il medico riscontra una situazione di ansia, stress o depressione è consigliabile assentarsi dal lavoro (la causa prima del nostro malessere) per recuperare le energie. Non bisogna sentirsi in colpa, è un nostro diritto, anche perché la nostra prima preoccupazione deve essere la nostra salute;
  • REGISTRARE TUTTO. Il/la mobber, quando è consapevole, non è stupido/a, e solitamente attacca in assenza di testimoni perché sa che ciò che fa non è lecito. Per questo motivo è buon consiglio mettere per iscritto tutto ciò che succede in ufficio raccogliendo la documentazione delle vessazioni subite: tenere un diario di ogni azione mobbizzante contenente data, ora, luogo, autore, descrizione, persone presenti, testimoni; tenere un resoconto delle conseguenze psico-fisiche che le azioni mobbizzati hanno avuto sul nostro organismo (questo faciliterà la documentazione del danno biologico che il mobbing ha determinato per la richiesta di risarcimento dei danni psicofisici) e di tutta la documentazione medica e delle cure seguite. Questo riguarda anche il mettere in forma scritta e fare protocollare o spedire per raccomandata R.R. ogni richiesta, trasformando qualsiasi ordine verbale ricevuto in interrogazione scritta («a voce mi è stato detto di fare questo, chiedo conferma scritta») ed esigere l’ordine di servizio che attesti il cambiamento di mansioni, il trasferimento o lo straordinario. Molto spesso non si riceve risposta: ciò sarà un’ulteriore prova di azione mobbizzate.
  • CERCARE ALLEATI…SE POSSIBILE. Sarebbe molto utile cercare degli alleati, ma è forse la cosa più difficile. Infatti, non sempre i colleghi sono coraggiosi. Spesso impauriti si ritirano in disparte per evitare che il mobbing messo in atto nei confronti della vittima possa estendersi anche a loro. Spesso, nel mobbing trasversale, sono essi stessi i mobbers. È fondamentale non isolarsi, ma coltivare le relazioni sociali, frequentare gli amici, rinsaldare i rapporti familiari. Si può andare a cena fuori, fare una bella vacanza, o dedicarsi ad un hobby, insomma, tutto ciò che può costituire una utile valvola di sfogo è ben accetto. Ad esempio scrivere ha dei grandi effetti terapeutici poiché rende i conflitti visibili a tutti. Si deve spiegare ai propri familiari cos’è il mobbing e quello che si sta subendo, non vergognandosi della propria situazione. Ma non si deve passare all’estremo opposto, parlando incessantemente del proprio problema e focalizzando l’attenzione unicamente sul proprio dramma.

3. Le vie legali.

Se si decide di ricorrere alle vie legali non bisogna essere impazienti. La durata di una causa di lavoro è lunga e anche in caso di vittoria in primo grado, ci si deve aspettare un ricorso in appello da parte dell’azienda, quindi si può calcolare da un minimo di quattro anni fino ad otto-dieci anni. Nella scelta tra procedimento penale e/o civile (causa di lavoro, risarcimento del danno biologico), è meglio preferire dapprima il procedimento civile. Ci si deve rivolgere ad un buon avvocato cha abbia già trattato cause di mobbing, che sicuramente non abbia legami con la propria azienda. Bisogna chiarire subito gli obiettivi che si intendono raggiungere (danno biologico, demansionamento, reintegra nel posto di lavoro, patteggiamento, risarcimento dei danni, ecc.) e cercare di coinvolgere il minor numero di persone (possibilmente solo l’azienda). In caso contrario il nostro avvocato si troverà a dover lottare contro eserciti di avvocati di controparte che si coalizzeranno contro di noi. Solo dopo si può procedere anche contro gli autori materiali del mobbing.
Anche senza ricorrere alle vie legali, non ci si deve mai sentire soli e pertanto è bene rivolgersi a:
• sindacati;
• punto di ascolto del Comitato delle Pari Opportunità;
• Garante o Consigliera/e di fiducia (se presente);
• Consigliera di Parità.

Riferimenti


https://www.laleggepertutti.it/88402_mobbing-del-datore-di-lavoro-i-sette-presupposti-per-denunciarlo
Tiziana Bartalucci (2010), Conoscere, comprendere e reagire al fenomeno del mobbing; Comitato delle Pari Opportunità dell’Università degli studi di Firenze; Firenze University Press. Reperibile in pdf al seguente indirizzo:
https://www.unifi.it/upload/sub/pariopp/mobbing_online_libro.pdf?fbclid=IwAR1DmQdBb4-CVUqDNuxdYsZBhkCHyGKJV-dWVikBUMItxCseMj8bBrDMBUg

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